7/1/1990
Dolce, cara, ingannevole morte!
quante volte mi hai teso le braccia!
E, quante volte, infedele bestiaccia,
da sopra il mio capo le hai tolte.
Io ti amo e ti odio, puttana,
che con giovani vite vai a letto;
io di te son geloso, lo ammetto,
non riesco più a starti lontano.
Più la vita io amo godermi
e più giacere al tuo fianco desio;
ma lottar fino in fondo degg'io,
chè con altri non de' tu tradirmi.
Inerme starò al tuo cospetto,
anelando senz'armi e nudo il petto,
che il tuo bacio mi possa ferire.
Quante volte, troia demente,
ti ho visto girar tra i soldati
con l'armi in pugno, ma di paura velati
che annuivano ai tuoi adescamenti.
Uomini, ma bimbi che, in un giuoco fatale,
t'abbracciavan con l'angoscia nel viso;
quel volto cui un dì, una mamma e un sorriso,
avean dato la vita senza fargli alcun male.
Quante volte, gran meritrice,
mi hai sorriso con ghigno beffardo
dall'occhio di un cane bastardo
che, morente, ti guarda e ti dice
che a finirlo fu la tua mano crudele,
già grondante del sangue vermiglio
di cavie, di scimmie e di qualche coniglio
immolati a quell'uom che si crede immortale.
Deh! Concedimi le tue eterne grazie,
dolce sposa di affranti suicidi;
rapiscimi coi tuoi macabri riti,
tu, regina di tante disgrazie.
Ma se alfin di tender la mano
sarò stanco e vorrò viver la vita,
con me, già lo so, per farla finita,

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